Tutti i numeri del successo di Pebble

Tra i possessori di Pebble, tre su quattro lo usano con continuità. E grazie alla partnership con PayPal, si può già usare l’orologio anche per i pagamenti in mobilità
Mentre cresce l’offerta di smartwatch, aumenta rapidamente anche il numero di persone che ne vorrebbe uno al polso, tanto da indurre la maggior parte delle grandi aziende su un mercato che solo due anni fa, semplicemente, non esisteva. Apple inclusa, che con il suo Apple Watch ha già creato un’attesa incredibile, contribuendo non poco a sdoganare il settore e renderlo attraente per il grande pubblico.
Dati alla mano, il mercato degli smartwatch promette letteralmente di esplodere: secondo una ricerca condotta da Allied Market Research, infatti, è destinato a raggiungere un valore complessivo pari a 39,9 miliardi di dollari entro il 2020, con un tasso di crescita annuo composto pari al 67,6%. Sono numeri impressionanti, che da una parte spiegano perché negli ultimi mesi Asus, Samsung, LG, Motorola e Sony abbiano lanciato i loro orologi con Android Wear; dall’altra, giustificano l’attesa crescente per il Mobile World Congress di Barcellona, dove a inizio marzo è attesa una vera e propria pioggia di nuovi smartwatch.
Insomma, siamo all’alba di un’era in cui gli orologi da polso, ormai diventati “intelligenti” e zeppi di sensori, sembrano destinati a riconquistare prepotentemente i nostri polsi. Una piccola rivoluzione la cui responsabilità ricade e in buona parte anche sul giovane ingegnere e imprenditore canadese Eric Migicovsky: suo il merito di aver immaginato il Pebble Watch.
Perché sempre più persone vogliono uno smartwatch? - ho chiesto a Anke Huiskes, che guida lo sviluppo di mercato di Pebble in Europa

“Le prima e più importante ragione per cui gli utenti ne indossano uno è ricevere e fruire al meglio le notifiche: nuovi messaggi, chiamate e aggiornamenti di status passano sul nostro polso: così, quello schermo così diventa un utilissimo filtro per tutto ciò che arriva sui nostri smartphone”.
Un filtro?
“Molti utenti acquistano uno smartwatch per evitare di passare 24 ore al giorno con il telefono in mano, per focalizzare l’attenzione solo sulle notifiche più importanti senza bisogno di estrarre continuamente lo smartphone dalla tasca. Esistono comunque diversi tipi di utente, a cui corrispondono interessi e usi diversi: gli sportivi prediligono app come Runtastic o Runkeeper, altri ancora usano app mediche per monitorare il proprio stato di salute. Con oltre 6mila applicazioni dedicate si possono fare molte cose”.
Che accoglienza hanno riservato gli italiani a Pebble?
“Direi ottima: a livello mondiale, il vostro Paese è tra i primi dieci per acquisti online. Un successo che non è sfuggito agli sviluppatori: basta guardare il numero di app disponibili in italiano per capire che il vostro è un mercato molto rilevante per Pebble, al pari di altre nazioni ben più popolose. Più in generale, possiamo dire che l’intero mercato europeo cresce in fretta e sta recuperando terreno rispetto a quello statunitense”.
Secondo alcuni studi, gli utenti che acquistano wearable smettono di usarli quasi subito. È un problema che riguarda anche voi?
“In base ai dati in nostro possesso, il 75% dei nostri utenti attivi utilizza Pebble Watch con continuità e per 20 o più giorni al mese, spesso per 24 ore al giorno. Credo che ciò dipenda anche dal fatto che la batteria dura fino a sette giorni e che l’orologio è impermeabile, quindi bisogna toglierselo meno spesso rispetto agli altri attualmente sul mercato”.
Wearable significa anche e sempre più spesso servizi di mobile payment. Pebble Watch è pronto alla sfida?
“Abbiamo già al nostro attivo una partnership con PayPal, i cui servizi di mobile payment sono attivi e disponibili in oltre 200 mercati, Italia compresa. Quindi già oggi, entrando in un esercizio commerciale convenzionato, è possibile pagare usando Pebble Watch insieme con l’app dedicata. In più, grazie alle localizzazioni del software in un numero crescente di Paesi, puntiamo a realizzare anche accordi che siano rilevanti a livello locale, per esempio con banche e istituti delle singole nazioni. Siamo un’azienda piccola e open che può contare su una community di oltre 20mila sviluppatori sparsi in tutto il mondo, e questo ci rende flessibili e veloci”.
Come gestite i rapporti con gli sviluppatori?
“L’obiettivo è mantenere saldi i rapporti con ognuno di loro, ma favorire la nascita di gruppi di lavoro affiatati, capaci ad esempio di realizzare app dedicate in breve tempo per rispondere prontamente alle esigenze di potenziali clienti business”.